Buonasera! Siamo alla lezione numero 3 dei Venerdì della Storia.
La volta scorsa ci eravamo lasciati con gli esperimenti di Shultze, che mescolavano l’argento con altre sostanze (ricordate quali?), riuscendo a creare composti che scurivano per azione della luce.
Inoltriamoci adesso in un pò di contesto storico, per capire in che situazione sociale è nata la fotografia.
Agli inizi dell’Ottocento, la domanda di immagini era enorme: la nascente borghesia, forte di capitali e prestigio da sbandierare pubblicamente, chiedeva a gran voce riproduzioni, di paesaggi e ritratti, sempre più precisi e dettagliati.
Per questo si inventò il procedimento litografico (1796, dal tedesco Alois Senefelder) e si riprese ad utilizzare la xilografia; per i ritratti c’erano la silhouette, la camera lucida (una sorta di camera obscura – vedi lezione 1 – per disegnatori) e il il physionotrace, inventato da tal Gilles-Louis Chretien nel 1807: per mezzo di una complessa macchina i contorni del modello venivano riprodotti da un disegnatore su lastre di rame incise, che potevano quindi poi essere inchiostrate per produrre molte copie dell’immagine. Ma il dettaglio e la “perfezione” del soggetto erano ancora lontani: pur quanto fedele fosse un disegnatore all’immagine da riprodurre, non sarebbe mai stata una esatta rappresentazione della realtà.
Un esempio della macchina per il physionotrace
E qui arriviamo a Thomas Wedgwood, inglese, che negli ultimi anni del 1700 iniziò i suoi esperimenti: conosceva infatti sia la camera obscura che le scoperte di Shultze, e iniziò a capire come poterli combinare insieme.
Thomas Wedgwood
Utilizzava il nitrato d’argento di Shultze spalmandolo su carta o cuoio, sensibilizzando in questo modo il supporto all’azione della luce. Utilizzava poi degli oggetti, piatti o traslucidi, ponendoli a contatto con la carta o il cuoio sensibilizzati: esponendo il tutto alla luce, l’immagine a contatto degli oggetti si riproduceva perfettamente sul supporto.
Wedgwood arrestò i suoi esperimenti incontrando un grandissimo problema: quello della labilità. Infatti non riuscì mai a trovare un modo per rendere nuovamente insensibile alla luce (=desensibilizzare) il supporto, che quindi, a meno che non fosse tenuto al buio, continuava a scurirsi per l’azione della luce. Ciò pose un limite enorme all’esperimento di Wedgwood: le immagini, benchè riuscite, si potevano osservare solamente al buio.
Riproduzione dell’esperimento di Wedgwood
GLOSSARIO (I termini fotografici da imparare):
SENSIBILIZZARE: Rendere un supporto reattivo agli stimoli della luce attraverso un’emulsione o altro ingrediente.
L’esperimento di oggi, in breve:
Thomas Wedgwood – fine 1700 – Nitrato d’argento + carta/cuoio + oggetti a contatto
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Alla prossima lezione!
Silvia
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